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capo vii. 119

inquisitori locali. La qual legge così strana, se avesse avuto effetto, sarebbe riuscita di somma molestia ai mercatanti di Venezia che pei loro traffichi visitavano Inghilterra, Svizzera, Germania, Olanda ed altre regioni acattoliche. Pure il governo per non accrescere gli umori, si contentò di comandare al Sant’Offizio di non ricevere le denuncie, o che dall’oltremonti o che da Roma venissero.

Un’altra contesa fu pure suscitata in quest’anno medesimo. Clemente con un suo breve voleva che anco a Venezia fosse osservato l’Indice de’ libri proibiti, il che tornava in sommo pregiudizio al commercio librario di quella città. Il senato si oppose, e interpellò in via privata Frà Paolo, il quale diede alcune memorie su questo proposito, che servirono d’instruzione al governo e agli ambasciatori in Roma. Infine la lite fu composta l’anno seguente per un concordato, alla redazione del quale il Servita ebbe molta parte, e che i papi successori cercarono di violare, come dirò.

(1596). Intanto gli Uscocchi tormentavano Veneziani e Turchi, gli Austriaci gli proteggevano; e i Turchi a vendetta mossero guerra all’Austria in Ungheria, nel tempo che i Veneziani combattevano i pirati. Ma il papa che mirava ad una lega tra l’Austria, la Polonia e Venezia contro i Turchi, affine di prolungare i mezzi di difesa negli Uscocchi e mettere screzio tra la Repubblica e gli Ottomani, mandò loro, nel 1596, un soccorso d’armi e munizioni. Venezia se ne dolse per mezzo de’ suoi ambasciatori: il papa se ne scusava, e proponeva la sua lega. La quale a patto niuno poteva convenire