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capo vii. 115

Santa Sede. La Riforma aveva vinto in Olanda, minacciava il Belgio, combatteva in Francia; l’Italia non era senza sospetti e la crudeltà della Inquisizione gli accresceva. I principi mal sopportavano l’enorme potere esercitato dai pontefici su di loro, per cui erano violati tutti i diritti e la stessa loro dignità; e solo stretti dalle necessità de’ tempi, mordendo il freno, ubbidivano. A ciò si aggiungevano gli interessi politici associati colla religione, che bene spesso non era che un pretesto ad altre ambizioni. Per le quali cose la corte di Roma si trovava implicata in tutte le vicende dell’Occidente, sperando nelle une, temendo delle altre. Fra tante passioni e reazioni, i successori di San Pietro avevano stremo bisogno di senno e di cautela per non precipitare in qualche sinistro da comprometterli sul serio, perchè il fanatismo è cieco e solo gli occhi della ragione abbracciano spazi infiniti. In così varie difficoltà Clemente si condusse con prudenza: fece assai cose utili, altre lodevoli, conciliò Enrico IV alla Chiesa, indi lo stesso re colla Spagna e col duca di Savoia, fece coi danari guerra ai Turchi, sostenne le pretensioni papali senza spingerle troppo oltre; ma quello che in altra età gli avrebbe meritato altari, fu l’ampliazione del dominio temporale di San Pietro.

Eppure era destinato dai cieli che sotto il suo pontificato dovessero predisporsi le cagioni occulte di un avvenimento, che rivelando al mondo gli arcani del papato, doveva essere il principio della sua decadenza. Di tutti gli stati cattolici Venezia fu sempre il più ossequente in verso a’ romani pontefici, e quello ancora in cui e’ più fidavano ne’ loro pericoli. Sorgevano