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dalla buona, e luminosa condotta delle Donne, non oseranno comparir loro a fronte per non essere obbligati di apprender una volta la saggiezza da quel sesso, che dovea esser da loro medesimi corretto non che istrutto. Giacchè dunque sono egualmente le Donne che voi, dotti, e graziosi Amici, creature uscite dalla mano dell’ottimo e massimo Iddio senza distinzione, o eccezione alcuna, impiegate l’ingegno vostro alla coltivazione dello spirito loro, all’insinuazione in loro delle buone massime, affinchè correggendo esse una volta il difetto predominante, cotanti disordini all’umana società non apportino. Quello, che più dovrebbe interessarvi, si è, che non volendovi dichiarare nemici loro, ma ben anzi amici, verrete in tal maniera a somministrare ad esse campo di godersi quella quiete d’animo, che non seppero posseder elleno per l’addietro. Fate conto, che sieno sorelle l’avarizia, e la superbia, poichè, se quella ha sete smoderata di oro, questa avvampa di desiderio insaziabile d’aggrandir se medesima ogni momento. E da questo desiderio continue inquietudini ne derivano, e rancori eterni, che poi a finir vanno colle desolazioni dell’animo, di quell’animo io dico, che moderato dal buono esempio, e dalla virtù, non ha meno d’attività, che il vostro maschile, onde giovare alle famiglie, alle città, alle Repubbliche, giacchè, per metter fine a questo mio breve discorso, più di me sapete, quanto inculcasse Platone di dover lasciar alle sole Donne il maneggio de’ pubblici affari, e quai cose eccellenti ne cantasse il Ferrarese Omero.


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