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Intanto una quarantina di masnadieri, il 6 Agosto 1885, guidati da Batistino del Tolè e da Gregorio della Villa, di Scanello, scendono, rapidi come la folgore, dal Gatta selvoso, penetrano nel castello malcustodito e, probabilmente coll’aiuto di paesani e militi favoreggiatori, liberano il prigionerio; si ritraggono (conducendo loro il Commissario, o Governatore di Castiglione, che poco dopo rilasciano) per la strada che conduce alla Chiesa Vecchia, e Grazzino liberato prende la via dei monti, riparando in Toscana.

Appena saputasi a Bologna questa fuga, il Cardinal Salviati, Legato del Pontefice, fa arrestare il C. Giovanni come complice del fatto (15 Agosto 1585), e a guisa del più vile dei malfattori lo rinchiude nel terrione del palazzo comunale, nella saletta, dove sono gli apparecchi per i tratti di corda, presso le stanze del carnefice.

Fu imbastito un processo, condotto da persone tutt’altro che miti e favorevoli al povero vecchio: il Card. Salviati, il vicelegato Mons. Domenico Toschi ed un Giovacchino Scaino, fiscale.

Dal processo resultò che il Conte non aderì a consegnare il Grazzino alla Curia Bolognese, per sostenere i propri diritti di feudatario imperiale, non per favorire il Grazzino, che era al bando dell’impero e cui il Conte intendeva punire coll’estremo supplizio; che egli fu estraneo all’evasione del masnadiere), avvenuta per forza maggiore, contro il voler suo.

Non poteva esser perciò tenuto reo di fellonia, tanto più, che, ricusando l’estradizione dal suo feudo