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regnarono uniti dal 1347 al 50: non mancaron di valore, Giacomo specialmente, ma non eran pari alle circostanze.
Insidiati dai nobili, rivali implacabili, riuniti dall’odio comune contro di loro; stretti dalle armi del Conte di Romagna, Ettore di Durator, che rappresentava l’autorità pontificia divenuta ostilissima, vendevano la Signoria, che disperavano di poter difendere, per 20000 fiorini d’oro a Giovanni Visconti Arcivescovo di Milano.
Quanti erano in Bologna, amanti della patria indipendenza, per quanto particolaristica, deplorarono il fatto, e i cronisti e gli storici del tempo furon severi verso i fratelli Pepoli.
Furon poi dessi imprigionati pel sospetto d’aver voluto tradire il nuovo Signore; furon temporaneamente privati di gran parte del loro retaggio ed ebbero a subire svariate e dure vicende1.
Riebbero poi tutte le loro montane castella, asilo per essi caro e fidato... (bene erano stati presaghi nell’acquistarle!) poterono rientrare in città, ma non fu-
- ↑ Dacchè i Pepoli perdettero la Signoria di Bologna, alcuni di essi ebbero concessioni nel mezzogiorno della penisola e in Sicilia, ma non dimenticarono la terra degli avi e ne frequentarono lo Studio, come non dimenticarono l’antico loro propugnacolo, Castiglione. Primo fra tutti il C. Agostino, che possiede il Palazzo antico della famiglia (ora monumento nazionale) in Bologna ed è munifico Signore del Castello di S. Giuliano (Monte Erice de’ Cartaginesi) nella prov. di Trapani.
Prof. Rodolico Niccolò. I Siciliani allo Studio di Bologna.