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Mille Dugento. 255

Passa a Milano il nostro viaggio letterario

di questo secolo. Quasi memore dell’antica sua gloria sin dal tempo di Cesare, e del

suo

prima del Gioia, poichè Brunetto scrivea poco dopo il ilio, e tornò in Italia nel 1166. Scrisse anche nna rettorie», ma non è altro che parte dell’invenzione retlorica di Tullio da lui tradotta. Il suo Tesoretto è in versi italiani, il Pataffio, come tessuto di proverbi, motti, e riboboli sul gusto del* le frottole del Petrarca. Sembra curioso il punto del’suo scrivere in francese. Ma riflettasi al gran commercio fra francesi e toscani per la mercatura, pei tanti ivi rifuggiti per quella rotta, per molti frati, ed altri che correvano a studiare all’università dì Parigi, onde venne usata in Toscana quella lingua come ne riconosciamo le frasi usate sì spesso dai Villani, dal Passavanti, e da altri scrittori di qael tempo addottate però nella nostra lingua. Non è dunque strano trovarla scritta da Brunetto, e da molti altri d’allora in opere varie, come si egge nella prefazione del Mehus alla vita d’Ambrogio Camaldolese. Brunetto poi ebbe cattedra in Parigi, e anche per gratitudine lodò quella lingu* in que’ termini affatto simili a que’ d’altri italiani scrittori Langue franceise corcarmi le monde, & est l’plus delitablt à lire, et d oir que nuli* autre: dice alcun di cui,