qualche inganno, soggiunser altri, perchè già non può darsi tanta sciocchezza in un uom ragionevole, che pretenda avere fama di buon poeta copiando un altro, o che tanto sfrontato pur sia, che per l’opera sua pubblichi l’altrui fatica veggendolo ognuno. Allor cominciarono a leggere or l’uno or l’altro de’ canzonieri toccati loro a sorte, e in verità non distinguevansi dal Petrarca, fuor solamente in quel languore, e in quella insulsaggine che nel linguaggio esser suole d’una finta ed imitata passione rimpetto a quel veemente e caldo sfogo d’un cuor acceso per viva fiamma. Parea strano capriccio quello di tanti, che per far versi credettero necessario di fingersi innamorati, o fecero versi per aver fama in amore. Latini e Greci esprimevano lo stupor loro in varie guise. Noi tutti, dicevano, abbiam cantato, ed amato: ma ciascuno di noi ha impressa al suo canto l’indole propria dell’ingegno, e della fantasia, e quindi ha ciascuno un proprio stile, un pensar proprio, e colori, e modi suoi propri. Orazio già non somiglia a Pindaro così che pajano un solo, nè Teocrito a Mosco,