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dapprima sbigottiti udendo quel titolo di divino che ben sapevamo per prova esser dagli Italiani mal impiegato. Sapevamo eziandio che l’Ariosto medesimo non avea già voluto fare un Poema secondo le regole della ragione e del buon gusto, ma che piuttosto avea scritto affine di dilettare gli amici, a’ quai leggeva i suoi canti, non al giudicio della severa posterità; onde in noi crebbe il ribrezzo a quel nuovo parlare di traduzione latina. Tristo me dicevami il cuore, il mio