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qual vena
Per far due trecce bionde, e in quali spine Colse le rose, e in qual piaggia le brine Tenere e fresche e diè lor polso e lena?
Onde le perle etc.
Ma tutto il diletto ci avvelenarono l’ultime parole, sì facili ad emendarsi per altro,
E que’ begli occhi ond’io ho guerra e pace Che mi cuocono il cor in ghiaccio e fuoco.
In vero, o Tibullo, sento anch’io molta noja di ciò, ripres’io, ma non era il secolo del Petrarca un secolo d’oro, come il nostro per le buone lettere. A lui rimanea molta incertezza di buon gusto pur anco, e le tenebre non erano dissipate. Ma, in qualità di poeta egli è nondimeno il più elegante, il più armonico, il più sublime, che vedesse l’Italia dopo noi. Egli ha ridotta in puro argento quella lingua, che in man di Dante avea tanta scoria, e la stridente tromba di quello ha cambiata in un flauto di soavissima melodia. Che se volgiamo noi l’occhio al midollo della sua poesia, cioè all’affetto che l’anima, qual poeta ha mai favellato in tal linguaggio, ha passionato il cuore cotanto, ha fatta