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62 | Lettere |
a stancar dell’affetto. Or qual poesia sarà quella, che canta sul tuono medesimo e sulla stesa corda sempre trascorre, come Orazio diceva, con una filosofia, ed anzi teologia d’amor sottilissimo innanzi ad un uditore indifferente, e ad un lettore freddo, e sdegnoso?
Ed è possibile, sciamò Tibullo con dolore, che un sì gentile, ed affettuoso poeta voglia ancor esso recar più tedio che non diletto, e voglia non esser inteso dalle tre parti della sua stessa nazione, e quindi cader nelle mani degl’implacabili comentatori? Un poeta di lingua vivente, che canta d’amore, e d'una semplice donna, come pur trova il modo di farsi oscuro, enimmatico, ed insoffribile per la rima, e per la durezza nelle due parti dell’opera sua? Qual gusto è mai codesto degl’italiani di far poesie sublimi insieme, ed incolte, e di ricorrere per gustarle ad un pedante, che lor rompe ogni vezzo con una penna di ferro? Se un distico, se un epigramma, od un’elegia non riusciva a noi felicemente, noi la davamo al fuoco, essendo certi che n’avrebbe più dan-