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di Virgilio e Inglesi. 57

Appena infatti ne cominciai la lettura, che ognuno rimase incerto e sospeso o sentendo una poesia non conosciuta, un pensar nuovo, uno scrivere inusitato. Greci e latini si guardavano in faccia, e quantunque Platone altra volta ci avesse parlato in quei modi a un di presso, e con idee somiglianti della bellezza e dell’amore, pur nondimeno eran nuove per noi certe immagini, certe grazie di stile, certi colori poetici petrarcheschi. Tibullo ed io sentivam qualche gusto più che non sentivano gli altri. Quella dolce passione che sta nell’anima, e dalla calda immaginazione è dipinta soavemente in ogni oggetto, quell’amor sovrumano, que’ voli eccelsi ed impetuosi d’un affetto sublime e lontano da ogni nebbia di senso a noi piacevano, mentre Orazio e Properzio, Pindaro e Anacreonte le trovavano insulse o fredde. A’ nostri giorni non si sapea filosofar tanto con l’idee nè con gli affetti amorosi, e dipignevamo per ordinario gli oggetti sensibili o fossimo più materiali per inclinazione, o non avessimo dalla natura sortita un’anima sì passionata, o un cuor sì