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36 | Lettere |
e tali ciance da nulla? Che potea saper io di Can della Scala, nè del Vas d’elezione, che egli t’accoppia con Enea, nè di cento siffatte cose? Quanto più si leggeva tanto meno se n’intendeva, benchè ad ogni parola fosse un richiamo, e ad ogni richiamo un comento più oscuro del testo, ma pur così lungo, che il tomo era in foglio. Oh un poema in foglio, e bisognoso ad ogni verso di traduzione, di spiegazione, d’allegoria, di calepino è un poema ben raro, diceva Orazio, se egli è vero che la poesia debba recare utilità insieme e diletto. Lucrezio stesso sbadigliava, i Greci lo nauseavano, alcun non vedea di che si parlasse, e rideva tra tutti Ovidio dicendo esser quello un caos di confusione maggiore che il descritto da lui.
Pur de’ bellissimi versi, che a quando a quando incontravansi mi facean tal piacere, che quasi gli perdonava. Ma giunto poi, saltando assai carte senza leggerle, a Francesca d’Arimino, al conte Ugolino, a qualche altro passo siffatto, oh che peccato gridai, che sì bei pezzi in mezzo a tanta oscurità e stravaganza sian condannati! Amico