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di Virgilio e Inglesi 31

ciò ripensando ha creduto, che la troppa facilità appunto di verseggiare, altri che la moltitudine de’ poeti, e delle accademie, che ascolto incontrarsi persin ne’ villaggi, altri che la cieca imitazione de’ vostri antichi, ed altri, che altre cagioni producano questa sterilità. Io penso che da tutte derivi, e principalmente dalla falsa idea, che della poesia fannosi gl’italiani mal prendendo i suoi vecchj maestri ad imitare come esemplari eccellenti in tutto e perfetti. Hanno degli Enni, e da’ Pacuvj, che non discernendo adorano ancora con una cieca superstizione, ed a peccato terrebbono il sci sospettare in essi d’imperfezione. Da essi imparano una poesia di parole, e prendono i modi più inopportuni, e più aspri alla poesia dilettevole, e illustre, quasi bellezze consacrate dal tempo, e dai servili adoratori. Io voglio parlarvi di questo inganno alquanto posatamente. Ciò credo esser permesso a Virgilio senza pericolo dopo morte, ed in luogo ove l’invidia non può. L’amor della patria, e della poesia, che mi segue ancora tra l’ombre è quel sol che mi spira, e se da un