stano in picciole città, e fan poco. Son costretti a lavorare alla giornata, o a far di capriccio. Ed ecco un popolo di mediocri e di sciocchi. Vedetene la chiara prova nei lor poeti, che sono tra tutti gli artisti in maggior numero, vanno a finire nelle Raccolte; questo è il lor premio, la loro gloria. Pochissimi arrivano ai sublime di una cantata per qualche signore, che gli paga con l’onore di proteggerli e con qualche cena, ove tra la nobiltà si fanno deridere: come dice Luciano in quel suo bel quadro del corteggiare i grandi; pochissimi all’onor di servire una truppa di comici con tante commedie per mese e tanti ducati per commedia; il resto si scarica nelle Raccolte. Che compassione insieme e che riso mi movea questa usanza italiana, e solamente italiana! Mi pareva la poesia, massimamente a Venezia, un curioso mestiere, una nuova manifattura, un lanifizio. Mi son trovato agli sposalizi più d’una volta, ne ho vednti i preparativi, e le feste più solenni. I poeti vi lavoravano al pari de’ falegnami, de’ pittori, degli stuccatori, e de’ macchini-