delle buone cucine, e l’Ambrosiana, Verona l’anfiteatro e Maffei, e tutte alcun titolo, alcuna ragione e diritto per incoraggire i suoi letterati, e dar pascolo alla lor vanità.
Ognuna alza il suo tribunale, ha il suo parlamento letterario e comanda nel suo distretto quanto Londra all’Inghilterra, Parigi alla Francia in materia d’opinioni sovranamente. A dire il vero io penso, che se in fatti l’Italia tutta avesse un centro, un punto d’unione, sarebbe più ricca d’assai nell’arti, nelle lettere e forse nelle scienze, che non qualunque altra nazione. Ma questo disgregamento, che produce poi la discordia, la gelosia, l’opposizione d’un paese coll’altro, fa parere a chi non esamina, che gl’italiani siano più poveri che non sono, e più ridicoli. Perchè di ciò nasce, che i più piccoli pedantucci, i sonettisti fanno figura e autorità nelle piccole loro letterarie combriccole, onde è piena l’Iralia di tai letterati plebei, di veri insetti della letteratura. E al contrario gli uomini dotti e di merito non vi hanno quel credito, che lor si dovrebbe, anzi spesso si trovano esposti