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Inglesi. 155

Come perde la pazienza e la creanza, non potendo spiegare quel passo di Dante, che si era impegnato di capir tutto quanto, e diede in furie, e disse villanie contro mezza la compagnia; scomparve il cavaliere, e non si vide fuor che il poeta. Ciò m’è accaduto più volte; e per verità i vostri letterati, che trattano coi forestieri di tali materie, rispettano poco l’ospitalità. Lasciamoli dunque ne’ lor pregiudizi, e ridiamo tra noi. Siate discreto, ed io sarò libero a dirvi il mio parere. Ho diritto a questa libertà. Son tornato inglese perfetto con pochi mesi di Londra. Se io sentenzio i principi o i re a tavola, o al caffè, se peso l’Europa sulle bilancie dell’equilibrio, ben posso alzar tribunale tra i letterati e i poeti. E poi non ho io patente autentica di legittimo giudice in fatto di lettere italiane? Mi giovi almeno a questo il diploma d’Arcadia, che fui costretto a prendere a Roma, e che mi era dovuto secondo il parere, e le proteste di que’ molti letterati, poichè io sapeva qualche aria di Metastasio, e spendea qualche guinea. Ed era il