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di un Professore di Padova 131

rato, e quand’anche si ammetta, e passi per buona, incontra qualche altro obbietto in ragguaglio alla geografia, che in questo luogo ha servito alla rima, e così pure il dire che il non ciberà terra nè peltro fu detto per invilire col verso basso la miseria dei principi, e tiranelli d’Italia, e un Orvietano universale, che guarir può qualunque sconciatura, o bassezza, quando si voglia che appostamente vada l’autore incontro a’ difetti. Così pure è più ingegnoso, che vero il ripiego che Dante volesse nomar Danteide il suo poema, ma siasi rattenuto per modestia, onde garantirlo da ogni taccia, che se li può ascrivere al titolo di commedia, essendo a dir vero un poema, di cui Aristotele, nè altro precettante si sognò giammai la tessitura, e l’idea, e non sò come essi, che sono sì ligi dell’antichità non s’accorgano che Dante non fece conto ne dei precetti, ne degli esempi di Virgilio, o d’Omero nell’ ordir un poema tutto nuovo. Anche quel pretendere ch’egli parli del Purgatorio, e dell’Inferno di questa vita, per poter introdurre liberamente Virgilio, Catone, ed altri