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104 | Lettere |
Certo, diss’io, la poesia dell’Italia con tutte l’arti e gli studj dopo sì srrane vicende cambiata aver denno del tutto fortuna e stato. Qual esser può mai poesia d’un popolo, che ha tanto usato co’ barbari, e in tanto pregio mostra d’avere le barbare poesie? Nè veramente altro che barbara mi parve quella, che udj leggere poco dianzi, in cui ne dolce armonia facea sentirsi alcuna, nè concerto alcun musicale e soave all’orecchio. E se il nativo linguaggio con la mescolanza corrompesi sempre de’ linguaggi stranieri, che tanto in Italia son familiari, come ponno eleganti poeti tra gl’italiani formarsi? Queste cose dicea tra me stesso, quando veduta mi venne poco lontano un’altra adunanza di varie persone raccolta in un luogo su la pubblica via, che pieno era di libri e di lettori. Erano i libri pur gallici la più parte, e fui per credere più che mai, che Roma fosse alla fine in poter dei galli venuta, nè sempre sì vigilanti e propizie aver l’oche sue conservate il Tarpeo. Ammirava fratunto il gran numero de’ volumi, la lor vaga forma, ed ornata, e par-