latino, e l’italico per ben parere, e per vivere
urbanamente, e non sembrar barbaro in
Roma stessa. Io che vedute avea cogli occhi
miei proprj le barbariche spoglie, e gli
schiavi feroci, che Cesare a Roma trasse
dalle Gallie soggiogate, stava mutolo, e istupidito
a così nuovo portento. Quand’ecco
passar quivi presso una splendente matrona,
(a) a cui tutti fer segno d’ossequio, siccome
a Vesta, o alla gran madre farebbesi, e
raccerchiarono a gara, e in lingua celtica
pur favellarono. Era quella, come mi dissero,
una Gallica donna dalla remota Sequana recentemente venuta recando seco per tutta Italia le grazie non solamente, e il fior dello spirito, ma celebre fatta per un Epico suo poema, e per Tragedie eziandio: nè le memorie di Roma antica da lei tanto riscuotere di maraviglia, quant’ella da Roma moderna ne riscotea. Parvemi allora, che dal