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Che primavera disperata e terribile! Avevo ancora da pagare il conto del fabbro, quello del falegname, quello del carraio, quello della spazzatura, dello zolfo, del maniscalco; e i soldi non c’erano. Il tepore dell’aria mi faceva girare la testa.

Andavo per il mio campo, da un filare all’altro, quasi tutto il giorno, senza perché, come un cane che cerca un osso qualunque. La sera, prima di dormire, soffrivo anche di più; e mi sforzavo di non pensare a niente, ma di sognare subito. Una mattina mi al-