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Era stato un temporale orribile, dopo mezzogiorno, d’agosto. I lampi erano così fitti che non si faceva a tempo a respirare e a segnarsi. La mamma s’era seduta nella sua poltrona, io m’ero messo in ginocchio con la testa sopra a lei. Le sue mani mi tappavano gli orecchi. Ma non avevo il coraggio di chiudere gli occhi; e, piangendo, senza muovermi da quella posizione, mi segnavo, cominciavo l’avemaria senza mai finirla.
Il bosco, vicinissimo alla casa, quasi sopra il tetto, crosciava