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torri degli angoli, dei bastioni di cinta, delle porte e finestre rotonde più non esistono che poche vestigia. Solo il cassero sorge ancora in frammenti, bruno, terribile, spiccato sull’orizzonte. Sembra che racchiuda la fiera anima del feudatario come in un degno sepolcro.

«Quel castello diruto è Cerbaia — la Cerbaria delle antiche pergamene, la Cervaia degli strumenti notarili del secolo XIV. Il suo nome è famoso nelle guerre dei tirannelli del Medio Evo: ma la sua origine è sepolta nelle tenebre che le immigrazioni barbariche portarono in Italia. I primi documenti che parlano di Cerbaia appartengono al secolo XII. In quell’epoca la rôcca era guardata da pochissimi sgherri di un barone alemanno che ne aveva acquistato il possesso col ferro alla mano. I Conti Alberti di Vernio e Mangona, soprannominati i Conti Rabbiosi, vollero impadronirsi di quella foresta abitata da caprioli e da cervi, come indica il nome. Nel 1164 i Conti Rabbiosi si presentarono a Federigo Barbarossa che dimorava a Pavia, circondato da Enrico vescovo Laodicense, da Cristiano arcivescovo di Colonia e gran Cancelliere dell’Impero, da Ottone Conte Palatino, da Maravaldo di Grimbac, dal Conte Leobardo, dal Marchese di Monteferrato, dal Conte di Biandrate, da tutta la nobiltà ecclesiastica e secolare d’Italia e Germania. Gli chiesero terre e vassalli; ed il primo Federigo favorì i suoi Conti Alberti, qui, come dice il diploma, pro dilatando imperialis coronae solio tempore pacis et guerrae fideliter et strenue plurimos laboris et maximus esprensias toleraverunt. Con un colpo di penna concesse agli Alberti gran parte del territorio toscano e bolognese