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96 LA TESTA DELLA VIPERA

dominio della sua passione; spense con meravigliosa rapidità il lampo degli occhî, atteggiò le labbra ad un sorriso innocente, e disse colla calma d’una discreta ammirazione:

— Che brava infermiera, e che buona figliuola sei tu!

Matilde non ci pensò altrimenti.

La seconda volta così avvenne. Emilio sorprese la famigliuola Nori in uno di quei momenti d’espansione della mutua tenerezza che sono così cari e soavi. Marito e moglie abbracciati avevano intorno i figliuoletti che facevano ressa per essere accolti e carezzati in quell’amplesso anche loro. Quelle testoline bionde, ricciute, quei visini rosei, paffutelli, quegli occhietti vividi, furbicciuoli, amorosi, quei labbruzzi porporini, da cui usciva la cara melodìa di parole nella tenera voce infantile, e in mezzo quelle due belle figure d’uomo e di donna giovani che avevano intorno l’aureola della felicità e della tenerezza, formavano uno spettacolo da commuovere e rendere invidioso qualunque. Emilio impallidì, si scusò di venire a disturbare. La sua presenza pose fine a quella intima festicciuola. Dopo un breve discorso, Alberto si alzò e disse dover uscire.

— Conducimi teco, incominciò il maschietto più grande, conducimi a spasso, babbino mio.

— Sì, sì, conducine, conducine a spasso: gridarono gli altri quattro, serrandoglisi ai panni.

— Adesso, subito, no, no, non posso: disse il padre. Ma fate vestir la mamma, e con essa vi