Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LA TESTA DELLA VIPERA | 95 |
maniere di lui, aveva lasciato introdursi fra loro una certa famigliarità che aveva anche le apparenze dell’amicizia. E così non era trascorso un anno dal suo ritorno, che Emilio vedeva effettuato il voto da lui espresso nella lettera a Cesare, di essere cioè accolto nella casa di Alberto e da Alberto stesso come un congiunto. Con Matilde egli continuava nella sua fredda riserbatezza: non cercava mai di essere solo con lei, anzi, ne sfuggiva l’occasione; se la cosa avveniva, egli accresceva ancora la espressione di indifferenza, che aveva di solito, e più presto che poteva, partivasene. Due sole volte quell’interno fuoco, ch’egli così abilmente nascondeva, fu sul punto di manifestarsi.
La prima nella camera del convalescente, quando questi era appunto ritornato da una passeggiatina fatta in compagnìa e col sostegno di Emilio. Stanco il vecchio erasi abbandonato sulla poltrona, e Matilde, che era accorsa sulla soglia del quartiere a riceverlo, e lo aveva guidato fin là, gli accomodava dietro la testa e le spalle i cuscini. Era essa così bella in quell’atto, con una sì seducente espressione di amorevolezza, che Emilio, nel contemplarla, sentì le fiamme salirgli al capo. Nell’ajutarla ad accomodare un guanciale, Emilio incontrò colla sua la mano di lei, e involontariamente la prese, la strinse. Matilde liberò vivamente la destra, e levò in volto al cugino uno sguardo stupito, quasi offeso, interrogatore. Ma il giovane aveva già ripreso il possesso della sua volontà, e il