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LA TESTA DELLA VIPERA 93

gnato. I due uomini credettero scorgervi sincerità di pentimento, vere intenzioni di accordo e desiderio di affetto: e Alberto, coll’impeto della sua generosa e subitanea natura, manifestò il proposito di andar tosto egli stesso a pigliare per mano il reduce, e trarlo seco, e introdurlo nella famiglia. Ma non fu di questo parere Matilde, la quale con molta freddezza, anzi con molta diffidenza, accolse l’atto di resipiscenza del cugino.

— Cambiato? diss’ella, sarà! Ma prima di ammetterlo in casa, vorrei averne delle prove migliori che le semplici parole. Andare da lui, tu Alberto, no sicuramente. Cesare gli rechi pure il nostro perdono. Viva perdonato, ma lontano; è il meglio per tutti.

Emilio fu con Cesare un commediante perfettissimo. Si commosse di gioja, di tenerezza, di gratitudine; perorò, pianse. Comprese dalle impacciate parole del poco destro Cesare, che Matilde impediva la riconciliazione di andare fino all’espansione dell’amicizia, e disse che essa aveva ragione: che il passato le dava innegabile diritto di diffidare; ma che egli sperava, col tempo, vincere i dubbî e i sospetti anche di lei, e giungere allo scopo tanto agognato di essere pei Nori come pei Danzàno un vero fratello. Intanto non gli si negasse almeno la consolazione di poter vedere il caro padrino, il protettore della sua infanzia, cui egli amava più di tutto al mondo.

Il vecchio Danzàno lo accolse molto fredda-