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90 | LA TESTA DELLA VIPERA |
signor Alberto Nori e la signorina Matilde Danzàno.
Emilio fu assalito da un vero accesso di furore; fantasticò ogni fatta di propositi violenti a vendicarsi.
Il pensiero di Matilde in braccio ad un altro gli era un supplizio che l’angosciava giorno e notte. E quell’altro così felice era quel Nori, per cui fin da ragazzo egli aveva avuto un odio, un rancore speciale! Stette a un pelo di pentirsene e precipitare in patria per costringere Alberto a un nuovo duello da cui non lo avrebbe più lasciato uscir vivo di certo. Ma se ne trattenne comprendendo che siffatto scontro sarebbe stato sicuramente impedito. Calmato il primo furore, un’altra vendetta che giudicò più cara, più degna e più compiuta, venne a sorridere al suo tristo talento.
— Egli l’ha sposata, pensò, ha vinto la prima partita. Ma non può darsi una rivincita?... togliergliela, strappargliela... averla, ora che è sua, ferirlo nell’amore insieme e nell’onore!... Impossibile?... E perchè?... Matilde è onestissima e mi odia... Ah! l’onestà delle donne, anche la più pura, può transigere sotto l’impero d’una necessità: anche l’odio la necessità fa superare... Crearla questa necessità, farla incombere minacciosa, imminente, inesorabile... Con arte, con pazienza... e il mio cervello d’artificî non ha penuria, e di pazienza il mio odio ne saprà avere. Chi sa?
Continuò i suoi viaggi. Visitò la Francia: