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88 LA TESTA DELLA VIPERA

che Alberto voleva fosse tutto tutto il ritratto della mammina, e Matilde affermava ch’era una copia fedele in miniatura del babbo.

La loro felicità sarebbe stata troppa dove non fosse venuto a colpirli qualche dolore, e questo venne alla morte della madre di Matilde. Se per questa il colpo fu crudele, fu crudelissimo per il signor Danzàno, il quale, dopo tanti anni di convivenza sempre in pace e accordo, adorato da quella donna, ora a lui rapita, che lo sapeva circondare d’ogni cura e d’ogni affetto, sentì proprio mancarsi metà dell’esistenza, metà della ragione di vivere.

La sua casa divenne muta e deserta: Cesare, giovane vivente la vita elegante di società, non poteva e non sapeva dargli conforto; il povero vedovo in ogni stanza del quartiere trovava argomenti di ricordi che incrudivano sempre il suo dolore: egli non aveva sollievo, non provava consolazione che recandosi in casa della figlia, dove le parole e la presenza stessa di Matilde, le carezze dei nipotini (che ora erano in numero di tre, due maschietti e una femmina) gli facevano, non dimenticare, ma sentir meno la sua disgrazia. Valevano a ciò sopratutto le moìne, la figurina, i baci della bambina, alla quale era stato posto il nome della nonna, e in cui il vedovo a sua volta, s’ostinava a vedere il ritratto parlante della perduta donna. Un giorno, Alberto, andato in casa dello suocero, lo trovò così abbattuto che ne ebbe paura.