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84 | LA TESTA DELLA VIPERA |
Al cenno, i due colpi risuonarono insieme. Emilio stette fermo, immobile, senza batter ciglio. Alberto portò la mano sinistra al petto ed esclamò:
— Son ferito!
Si scosse come per fare un passo, vacillò, e perdendo di subito le forze, lasciò cader l’arma che impugnava colla destra, s’accasciò e si distese lungo per terra.
I quattro testimonî e il medico si precipitarono presso di lui; il terzo bottone del soprabito a doppio petto era rotto e lì vicino un bucherello lasciava uscire una goccia di sangue. Il ferito girò intorno uno sguardo incerto, volle parlare, una lieve schiuma sanguigna gli venne agli angoli della bocca, e svenne.
Emilio, senza muoversi dal suo posto, aveva incrociato le braccia e stava aspettando.
Il medico aprì sollecito i panni del caduto, ne stracciò la camicia, osservò la piaga, ne tastò coi suoi ferri la profondità, cercò la palla, non la trovò, e volgendosi ai presenti, disse con malauguroso scuoter del capo:
— La ferita è gravissima.
Mentre il medico faceva una fasciatura provvisoria, Cesare s’accostò ad Emilio, e questi senza lasciarlo parlare gli disse subito:
— Hai visto? Al terzo bottone.
Cesare sentì uno sdegno, un orrore indicibile per quel cinico omicida.
— Tu l’hai assassinato, gli rispose con labbro fremente. Ora, che vuoi tu ancora far qui? Vattene.