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LA TESTA DELLA VIPERA | 83 |
sti cuore tu di abbandonarmi, di lasciarmi negli impicci?... Hanno suonato. È certo l’altro mio padrino. Conto su voi due. Saprete fare le mie parti a dovere.
Cesare, dominato dall’accento e dallo sguardo di Emilio, non osò più contraddire, non osò più rifiutarsi.
Secondo le istruzioni date dallo sfidato ai suoi padrini, fu convenuto che il duello avrebbe luogo fra due ore, alla pistola, dietro il campo santo, i due avversarî alla distanza di venti passi, facendo fuoco nello stesso tempo.
Quando i due avversarî si trovarono a fronte, Cesare non potè a meno di essere colpito dalla differenza dei loro aspetti. Alberto Nori, un po’ pallido, ma franco e sorridente, guardava dritto innanzi a sè cogli occhî levati; Emilio Lograve teneva un po’ chino il capo e di sotto la fronte lo sguardo velenoso guizzava a scatti sull’avversario mentre sulle labbra gli si disegnava il sogghigno diabolico di un malvagio che vuole compiere un maleficio e sa di riuscirvi. Il fratello di Matilde fu assalito da una specie di rimorso; nel consegnare l’arma ad Emilio, gli disse piano, ma con calda espressione di preghiera:
— Tu lo risparmierai, non è vero?
L’altro sogghignò a suo modo.
— Vedrai come!... Lo colpirò al terzo bottone del soprabito.
Cesare volle insistere.
— Va, va al tuo posto, e non seccarmi.