Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LA TESTA DELLA VIPERA | 77 |
— Bravo! gli disse con un sogghigno. Hai saputo bene tener lontano il Nori da Matilde.
— Che vuoi? Matilde era impegnata... io non ho voluto fare scandali.
— Hai ragione, hai ragione! disse Emilio, il cui labbro scolorato si assottigliava sotto l’impressione dell’ira repressa.
Il valzer era finito. Emilio traendosi seco Cesare venne ad appostarsi a pochi passi dal Nori che stava discorrendo con Matilde e colla madre di lei. Si mise a parlare vivamente col cugino, dando a quel suo satanico sogghigno la più maligna espressione e fissando instintivamente uno sguardo maligno del pari su Alberto Nori: questi sentì quello sguardo pesare su di sè; si volse, vide i due e capì che parlavano di lui; se ne avesse dubitato, ne lo avrebbe chiarito il suo nome che udì pronunciato da Lograve. Turbato, offeso da quel contegno, Alberto si congedò dalle signore Danzàno e venne accostandosi ai due giovani. Emilio lo lasciò venire fino alla distanza di due passi, e poi, quando già l’altro cominciava un saluto, girò sui tacchi e s’allontanò guardando in aria.
— Lograve! chiamò vibratamente Alberto che sentì il sangue salirgli alla faccia; ma Emilio non se ne diede per inteso, e continuò ad allontanarsi. Non fece un movimento per corrergli dietro, ma si trattenne e si volse a Cesare.
— Che cos’ha meco Lograve?
— Ma! che ne so io? rispose freddo freddo il fratello di Matilde.