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LA TESTA DELLA VIPERA | 73 |
terreo in faccia, collo sguardo spento, cupo, accasciato, rispondendo a mala pena e di cattiva grazia.
— Tu se’ stato ammalato, caro Emilio?
— No.
— Che cos’hai dunque? Perchè non ti lasci più vedere? Perchè sei così abbattuto? Ti è capitata qualche disgrazia? A me dovresti dirlo.
Emilio piantò negli occhî di Cesare uno sguardo penetrante per leggergli nell’anima.
— Non ho nulla: rispose bruscamente. Non mi è capitata nessuna disgrazia. Che cosa mi avrebbe ad essere capitato?
— Mah! disse ingenuamente il cugino: io non saprei; però mi pare che non per nulla tu dovresti avere quella ciera da mortorio.
Emilio si persuase che a Cesare non era stato detto nulla della scena avvenuta con Matilde.
— Ebbene, sì, sono malato: riprese, malato di nervi. Ho una melanconìa che mi consuma; lo spleen degli inglesi che mi fa dare al diavolo.
— Eh! bisogna mandar lui al diavolo; bisogna cacciarlo ad ogni costo. Scuotiti, esci, vedi della gente, cerca svaghi.
Emilio crollò le spalle.
— Gli è trovarne degli svaghi che mi par difficile... Nulla mi diverte.
— Eh via! Tu parli come un uomo esaurito, di cinquant’anni... Vieni stasera in casa X... e vedrai che ne sarai contento. C’è una raccolta sempre più ricca di belle signorine e di stupende