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56 LA TESTA DELLA VIPERA

poi stracciandosi i capelli nella disperazione della sua impotenza. Nessuno accorse alle sue grida, ai suoi clamori: e, stanca, senza più voce, senza forze, la meschina dovette, dopo forse un’ora e più, acchetarsi, divorata dalla rabbia, dall’odio, dalla paura. Dopo quella prima di furore, di spasimo, di tormentosa angoscia, passarono altre ore, che la disgraziata non seppe numerare, che le parvero eterne, ma che furono penosissime tutte, e vennero frangendola, macerandola, limandone la vita. Nella sua testa era un tumulto. Che cosa fare per salvare la sua roba? Correre subito a denunciare il latrocinio al procuratore del re? Ma se Emilio accusasse lei a sua volta? Ben sapeva essa come tutti l’odiassero e in casa e fuori di casa; quanti avevano avuto e avevano attinenza colla famiglia sarebbero stati testimonî a carico di lei. Ma si sarebbe vendicata, anzi ricattata. Oh! se Emilio avesse osato!... Avrebbe trovato ben essa il modo di fargliela pagare: accarezzò senza orrore anche l’idea d’un delitto... Ma no, Emilio non avrebbe osato; egli aveva voluto spaventarla, sarebbe tornato ad assalirla, a minacciarla, ma essa non avrebbe ceduto a nessun patto. E intanto, appena avesse potuto uscire, ella avrebbe portato fuori di casa i titoli, li avrebbe affidati all’agente di cambio, depositati presso una banca, posti in qualsiasi modo al sicuro. L’importante, il necessario, l’urgente era di uscire di là... Uscire, uscire!... Il giorno passava e non si veniva a liberarla; si provò a chiamare di nuovo