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52 | LA TESTA DELLA VIPERA |
— O Dio buono!... O Santa Vergine dei dolori!... O santi tutti del paradiso! esclamò Marianna levando le mani al cielo. Cosa mai ho da sentire?... Come ho da essere trattata!... E da voi, che ho sempre difeso contro vostro padre, che ho sovvenuto tante volte de’ miei denari...
— Che!... Erano denari di mio padre e quindi miei... Ma non perdiamoci in ciancie... Date ben retta: ora son io il padrone; e quello che è mio lo voglio, capite?... tutto lo voglio!
Marianna lo guardò spaventata.
— Che cosa volete dire?... In fede mia, non vi capisco... Cosa volete dire?
— Che voi mi darete la chiave di quel cassetto dove tenete rinchiusi i valori rubati perchè io possa andare a prendermeli senz’altro.
La donna si pose la mano sulla tasca, quasi a ripararvi quella chiave che portava sempre con sè, e ritornata in tutto il suo coraggio per difendere la ricchezza con tanto e sì lungo studio acquistata, disse risoluta e sprezzante:
— Voi siete matto, sor Emilio; e questo è proprio un perderci in inutili ciancie.
E senz’altro voltò la grossa persona verso la porta per andarsene dalla stanza.
Emilio d’un balzo le fu innanzi, la respinse brutalmente indietro e chiuse la serratura dell’uscio a doppia mandata.
— Voi non uscirete, disse con una freddezza più minacciosa della collera, non uscirete prima di avermi dato quella chiave.