Pagina:Bersezio - La testa della vipera.djvu/40

38 LA TESTA DELLA VIPERA

ripugnanza per la figura, le maniere, le ostentazioni d’umiltà e di devozione del cugino.

Fattosi abilissimo nel maneggio delle armi, Emilio Lograve desiderava ora l’occasione di provare in solenne maniera questa sua abilità: e l’occasione venne. Fra i compagni d’università egli non s’era fatto amare meglio che dai convittori del collegio: onde non gli mancavano nè le dimostrazioni di malevolenza e di disistima, nè gli scherni e le umiliazioni. Emilio decise di pigliare, al primo insulto, tale vendetta che levasse per sempre altrui la voglia di ritentare la prova. Si era nella sala delle esercitazioni anatomiche, e uno di quelli che più l’avevano in uggia, gli fece uno sgarbo; Lograve espresse il suo risentimento con vivaci, oltraggiose parole; ne nacque un diverbio nel quale, trovandosi ben presto soverchiato dall’avversario per robustezza di polmoni e per felicità di ingiurie, il nostro gli gridò:

— Vuoi finirla? o ch’io ti tappo quella boccaccia...

— Ah, sì? esclamò l’altro beffando. Vorrei veder come!

— Così! disse Emilio, e scaraventò in faccia al compagno una grossa spugna che serviva a lavare le tavole di marmo, tutta inzuppata di acqua sanguigna e di marciume.

Lo colpì in pieno viso, sporcandogli di quel sozzo umore occhî, naso, bocca e i panni. Il giovane, mezzo acciecato, mandò una grossa bestemmia, e mentre badava in tutta fretta a ripulirsi