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LA TESTA DELLA VIPERA 37

i giuochi meccanici dell’organismo, e le fonti di quella vita che s’era spenta, e le cagioni di quella morte che lo dava insensibile alla sua curiosità inesperta. Con più acre senso di curiosità desiosa assisteva alle operazioni chirurgiche: tagliare nelle carni vive, farne zampillare il sangue, vedere fremere i muscoli, contrarsi le fibre, spasimare tutto l’essere del paziente, era uno spettacolo che lo attirava, lo affascinava.

Nella casa del padrino capitava di rado. Colà non trovava che nuovi motivi da inasprire la sua invidia. Il signor Danzàno era giunto ad età matura, ma godeva di florida salute, procurata dalla savia regolarità della vita, che gli conservava il buon umore, l’amenità delle maniere e l’affettuosità, di cui era un esemplare inarrivabile sua moglie. Cesare, il primogenito, presso ormai a terminare il corso d’ingegnerìa, erasi fatto giovane, bello, elegante, vivace quanto era stato bambino leggiadro ed amabile, e chiunque rimaneva ammaliato dalle graziette di Matilde, vero bocciuolo di splendida rosa. Cesare era d’umor gajo, espansivo, impressionabile, facile a prendere da altrui idee, tendenze, abitudini, volontà; Matilde, invece, riflessiva, lasciava scorgere nella gentilezza, che mai non la abbandonava, un’anima forte, un criterio sano e robusto. Il figliuolo di Lorenzo nelle sue visite ai Danzàno mostravasi umile, devoto, strisciante, pieno di riconoscenza: il padrino, la moglie di lui e Cesare ci credevano; poco o nulla Matilde, la quale provava una istintiva