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36 LA TESTA DELLA VIPERA

il tormento della servitù, avvicendava le eterne querele e le strapazzate alla cuoca e al domestico, colle periodiche baruffe, di cui impiacevolivano la loro convivenza padrone e governante.

Emilio fu tenuto come uno schiavo, senza mai uno svago, sempre senza un soldo in tasca: vestito così miseramente, che se ne vergognava in mezzo ai compagni di università, dove studiava medicina. Aveva provato a dire le sue ragioni al padre, e questi lo aveva irosamente respinto; aveva supplicato e n’era stato schernito, aveva osato alzar la voce, e benchè adulto, ne aveva ricevuto quelle umilianti correzioni manuali di cui si era tanto abusato verso di lui fanciullo. Scese più basso nella sua degradazione di carattere: si diede ad accarezzare, adulare quella Marianna che in cuore odiava più di tutti al mondo; e qualche cosa ne ottenne: un complice silenzio per un’ora d’assenza dalla casa, una scusa per un tardo ritorno, e qualche liretta di quando in quando datagli di soppiatto del padre. Di questi denari vilmente strappati all’avarizia della governante, egli si serviva in un modo solo; nelle sale di scherma e nei tiri a segno, cui frequentava assai più zelantemente che non le aule universitarie. Non gli dispiacevano tuttavia gli studî intrapresi, e principalmente le esercitazioni anatomiche. Gli era con una specie di voluttà ch’egli col bisturi si metteva a tagliare in un corpo umano, stesogli davanti nella sua rigidità di cadavere, e ne scrutava i visceri e