Pagina:Bersezio - La testa della vipera.djvu/33


LA TESTA DELLA VIPERA 31


Il piccino, così miseruzzo com’era nascendo, non aveva di molto prosperato, ma aveva pur fatto il miracolo di vivere, superando le varie crisi dell’età infantile. Se la sua venuta in casa fu poco gradita al padre, uggiosa alla governante, riuscì una disgrazia per lui, il quale dalla vita libera, in sano ambiente, circondato dalla schietta benevolenza di quella famiglia montanina, passò nell’aere rinchiuso d’una casa cittadina, dove nessuno gli voleva bene, dove anzi il padre impaziente lo allontanava da sè con violenti rabbuffi, e Marianna non faceva che rimproverarlo, castigarlo, e sovente ancora picchiarlo di santa ragione.

Qualche volta il padrino otteneva che il piccino venisse a passare la giornata in casa sua; ma ciò non tanto sovente quanto i Danzàno avrebbero voluto, perchè Marianna, temendo che il ragazzo, malgrado le minacciose intimazioni fattegli, raccontasse e i mali trattamenti suoi e le scene burrascose che così frequenti avevano luogo in casa, contrastava più che potesse a tali visite. Nella casa del padrino il figliuolo di Luisa trovava un ambiente tutto bontà, pace, ilarità ed affetto. I conjugi s’amavano, e ambedue idolatravano i loro figli che crescevano avendo pei genitori quella devozione, quel rispetto, quella stima che veramente si meritavano. Due erano questi figli, un maschio ed una femmina: quello aveva tre anni di più del Lograve; la bambina invece ne contava cinque di meno, e fratello e sorella si volevano pure un bene da non si dire.