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LA TESTA DELLA VIPERA 27

Dei congiunti che gli rimanevano, Lorenzo Lograve non aveva conservato relazione con alcuno, fuorchè con un cugino di secondo grado, Emilio Danzàno, ricco industriale, che da qualche tempo aveva rinunciato a fabbricare quei panni che lo avevano arricchito per godersi in pace gli agi onestamente acquistati e le dolcezze della famiglia. Nelle rare visite che si facevano, Luisa ammirò la tenerezza fiduciosa e concorde che aveva luogo fra i conjugi Danzàno e l’amore, l’attenzione di entrambi per un loro figliuoletto che, quand’ella si sentiva madre, contava appena tre anni o poco più. Un simile amore la poveretta sapeva pur troppo che suo figlio non lo avrebbe trovato nel padre, e pensò che quel galantuomo di Danzàno sarebbe stato un difensore, un ajuto al nascituro.

Fu la sola contentezza che Luisa ebbe il vedere accettati per padrino e madrina i conjugi Danzàno.

Ma non fu solamente contentezza, fu trasporto, ebbrezza, delirio di felicità quello che la povera donna provò, quando la levatrice le ebbe posto fra le braccia un fantolino che piagnucolava con appena udibil voce.

Egli era grosso come un ranocchio, magro, schiacciato il viso, nero di carnagione, tutto rughe la pelle; eppure all’estasiata madre parve la bellezza di un angioletto sceso per lei dal paradiso.

Ella aveva sofferto di molto, e dolori morali e tormenti fisici; ma tutti furono obliati, o me-