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20 LA TESTA DELLA VIPERA

nitori, che gli tolsero per essi ogni rispetto e riguardo. Il padre non aveva che un mezzo per tenerlo sommesso e disciplinato: il rigore, e ne abusava. Il giovinetto conobbe tutti i generi di punizione che un padre senza cuore possa infliggere a un figliuolo recalcitrante.

La madre un bel dì scappò di casa con non so quale avventuriero, e la rabbia, la vergogna del marito abbandonato si convertirono in altrettanta maggiore persecuzione verso il figliuolo. Questi pensò ancora egli più volte di sottrarsi colla fuga ad un’esistenza divenuta insopportabile; ma dove andare? e come vivere?

A quattordici anni credette poter procurarsi un mezzo di scampo. Un suo compagno di scuola, più vecchio di lui, gli parlò del giuoco: Lorenzo riuscì a rubare uno scudo dal taschino del panciotto di suo padre, a letto addormentato, e si fece condurre in una bisca. Guadagnò, e il suo guadagno subito consumò in luoghi sconci, per tornare a casa ad ora indebita, senza più un soldo e ubbriaco. Furibonda fu la collera del padre, e degni di essa gli effetti. Lorenzo, schiaffeggiato, cacciato a calci nello stambugio che gli serviva da camera, vi doveva rimanere prigione una settimana a pane ed acqua. Uscì di là più invelenito, e con nel sangue già violente le destatesi passioni del giuoco e della dissolutezza.

In quel tempo entrò in casa come governante una giovane donna, fresca, grassoccia, colla volgare bellezza d’una florida salute, colle grossolane