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18 | LA TESTA DELLA VIPERA |
danzavano sui tizzi. Regnava il più profondo silenzio. La monaca stava immobile sull’inginocchiatojo a pregare; il marito di quella morta immobile a contemplare il fuoco acceso. Egli non aveva l’ipocrisìa d’una lagrima. Non si poteva dire che sentisse rimorso; ma un grave fastidio l’occupava; il pensiero dell’irrevocabile, dell’irrimediabile, gli era come un peso al cervello. Questo, stanco dalla veglia e dalle emozioni del giuoco, cadeva di quando in quando in una specie di vaneggiamento in cui le idee si confondevano scambiandosi in imagini spropositate, come quelle dei sogni, e, pur rimanendo sveglio, perdeva la percezione esatta delle cose e del tempo.
A un punto uno dei tizzi, a metà consumato dalla fiamma, cadde e rotolò giù dal focolare: Lorenzo si riscosse, prese affrettatamente le molle, raggiustò la legna, e sbadatamente si mise a battere sui tizzi; ma in quel silenzio di morte il rumore prodotto gli parve enorme, scandaloso. Egli si drizzò in piedi, depose pianamente le molle, guardò di sfuggita verso il letto, e con passo guardingo uscì dalla camera.
Lungo il corridojo, a capo del quale era la sua camera, Lorenzo passò dinanzi ad un uscio e si fermò esitante: un forte russare venne ad avvertirlo che la Marianna ci dormiva profondamente. Fece un atto quasi di dispetto, e continuò la sua strada. Giunto nella sua camera, vi si rinchiuse, accese una lampada, poichè il giorno non era abbastanza chiaro, e passeggiò un poco