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180 | LA TESTA DELLA VIPERA |
morse le labbra fino al sangue; poi parlò con una forzata calma, forse più iniqua della collera.
— Sta bene!... Tu hai detta l’ultima parola del nostro colloquio... Non puoi più aggiunger nulla, nè io voglio più ascoltar nulla.
E siccome ella trovavasi innanzi alla porta, egli fece un cenno imperioso perchè si levasse di lì.
— È tardi... ho già troppo indugiato... Sgombrami il passo.
Essa invece, risoluta, fiera, si portò all’uscio e disse, con tono di violenza:
— No, no, non uscirai di qui... No, no, non ti lascierò ammazzare il mio Alberto.
— Lasciami andare! gridò egli coi denti stretti e il furore dell’anima negli occhî.
— No!
Emilio afferrò la donna per un braccio, con tutta la sua forza la trasse via dall’uscio e per una spinta brutale la mandò barcollante nell’interno della stanza, poi s’affrettò ad aprire l’uscio.
Matilde sarebbe caduta in terra se non avesse incontrato la tavola, a cui si sostenne; la sua destra si posò sopra una delle rivoltelle che là si trovavano; le sue dita, quasi involontariamente, ii serrarono intorno al calcio dell’arma.
— Fermati! ella gridò ad Emilio, fermati, in nome di Dio!
Egli si volse a lei col suo maledetto ghigno, e le rispose ferocemente: