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176 | LA TESTA DELLA VIPERA |
tore, in premio il tuo amplesso; a me le tue lagrime.
Mentre egli parlava, in Matilde s’era venuta un poco quietando l’agitazione del sangue e dell’animo; essa potè a sua volta trovar le parole, e cominciò a dire con voce debole, ma vibrante di profonda emozione:
— Se il tuo odio volesse appagarsi solamente delle mie lagrime e del sangue dell’uomo che tu odii, il che vuol dire anche del mio, perchè a quell’uomo io non sopravviverei...
Emilio fece un atto fra d’ira, di minaccia e di crudeltà.
— No, non gli sopravviverei, ripetè essa con più forza. Se tu ti soddisfacessi della morte di lui, e mia, sarebbe un’opera iniqua, scellerata, ma che si può comprendere. Il tuo odio invece vuole colpire, più ancora di quelli che odii, degli innocenti che nulla ti hanno fatto, e tale che anzi può vantare titoli alla tua riconoscenza...
— Chi? domandò aspramente Emilio.
— Chi?... E i miei figli?... E mio padre?
— I tuoi figli?... Sono sangue suo; li odio al pari di lui.
— E mio padre?... Egli ti fu amorevole padrino, ti difese nell’infanzia...
Emilio la interruppe.
— Ha fatto troppo poco, perchè io ora sacrifichi per lui quell’unica cosa che mi rimane cara al mondo, la mia vendetta, perchè io vada a farmi uccidere...