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174 | LA TESTA DELLA VIPERA |
vello come vuoto, la bocca allappata, lo stomaco oppresso.
Matilde si convinse viepiù che da quel poveretto non poteva sperare ajuto nessuno, e che era obbligo di carità il tacergli affatto ogni cosa. Si tolse, con grande pena di lui, dal letto del padre e passò nella camera dei figli che dormivano ancora tutti tranquillamente: la loro vista le fece sentire più forte, più imminente la necessità in lei di agire. Per la finestra aperta vide nel salotto a pian terreno del palazzotto Emilio presso alla tavola su cui stavano parecchie rivoltelle. Ah, fortuna! Egli era ancora in casa; s’era ancora in tempo. Matilde si gettò sulle spalle il primo mantelletto che le capitò sotto mano, e corse al palazzotto.
— Tu qui, Matilde! esclamò Emilio, arretrandosi d’un passo per lo stupore.
Matilde non rispose; entrò, prese a un braccio Emilio e con forza superiore alla sua solita, che la disperazione dava alle sue membra un poco prima sfinite, lo trasse nel salotto, dove stette innanzi a lui, ansimante, premendosi colla mano il cuore che le batteva da rompersi.
— Che cosa vuoi? le chiese ruvidamente Emilio, che sentiva ancora al cospetto di lei la vergogna dei trattamenti subiti dal marito di essa.
— Tu vai ad assassinare Alberto, diss’ella con voce soffocata.
Un infernale sogghigno di trionfo si disegnò sulle labbra di Emilio.