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168 LA TESTA DELLA VIPERA

nella mia famiglia, le fortunate condizioni che ci permettono un’agiata esistenza. Quali ragioni particolari potrei avere da odiare la vita che tanto mi sorride? O non sarò creduto, o si giudicherà, che questa mia felicità è un inganno e che io la smaschero colla più orribile smentita. Getterò ancora una nota di biasimo alla mia adorata Matilde, agli adorati figli miei. Insieme al crudele dolore che cagionerò loro, lascerò ad essi per ultimo addio un rimprovero che procurerà a quei cuori amorosi un immeritato rimorso. E ciò per salvare dagli impicci quel miserabile? Oh, no, mai, mai!

S’alzò risoluto, stracciò in minutissimi pezzi e il foglio che gli aveva rimesso Cesare e quello che egli aveva già scritto, e fece per partire: ma ecco sulla soglia dello studiolo medesimo fermarlo, sopraggiungendo, il parroco.

Alla serva era parso un troppo gran fallo lo avere introdotto in casa un signore di quella sorte e non avvisarne il padrone, cui ella sapeva aver tanta deferenza per quel signore: e il parroco s’era affrettato a vestirsi per correr giù a complimentare il mattiniero suo parrocchiano e offrirgli i suoi servigî. Alberto dovette impiegare dieci buoni minuti per dire al buon prete quel ch’era venuto a fare e che aveva già fatto e per cui lo ringraziava, e se ne partiva senz’altro, avendo un affare di premura da sbrigare. Ma sì! Alla virtù capitale del parroco pareva una colpa il lasciare partire il signor Nori così a bocca asciutta: ed ecco offrirgli caffè e