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166 | LA TESTA DELLA VIPERA |
E in due minuti, con mano ferma egli ebbe scritto quelle righe, che consegnò a Cesare.
— E intanto, soggiunse, potete prendere l’arma pel vostro mandante.
Il cognato d’Alberto ne esaminò due o tre, tanto per avere l’aria di fare una scelta; poi ne prese una che si mise in tasca.
— Ricordatevi! gli gridò Emilio, mentre Cesare stava per varcare la soglia. Se non siete tornato prima, io alle sei e mezza sarò al ponte; il signor Nori dovrà trovarsi al pilone. Scorretto chi ritarda; vile chi manca! A rivederci.
E volgendo le spalle a Cesare che partiva, egli rientrò nel salotto.
Cesare s’affrettò a raggiungere il cognato che già stava aspettando al pilone. A tutta prima Alberto non trovò objezioni da fare alle proposte dell’avversario, e parve anche a lui che quello della dichiarazione fosse un prudentissimo partito per tenere nascosto alla gente il dramma domestico, per togliere dalle peste il superstite dei duellanti. Ma dove andare a scriverla quella dichiarazione? A casa no, perchè sarebbe andato incontro a quella scena di separazione straziante da Matilde, ch’egli voleva assolutamente evitare. La casa più vicina, di cui si potesse prevalere, era quella del parroco: Alberto decise di correre colà a preparare il documento.
— Tu rimani qui, disse al cognato. Spero fare in tempo da tornarmene prima che quell’altro arrivi; ma se mai dovessi tardare, tu sarai qui