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162 LA TESTA DELLA VIPERA

bestemmiando, imprecando, minacciando, si era compiaciuto di passare in rivista una per una tutte le sue rivoltelle, delle migliori fabbriche inglesi, eccellenti, infallibili tutte nella sua mano esercitata. Quante volte aveva spianato or l’una or l’altra a mira, imaginandosi d’aver a giusta distanza l’odiatissimo avversario, ed aveva fatto un sogghigno di trionfo nella certezza di gettarlo a terra col cranio fracassato!

Il tempo gli tornava lungo e pesante, maledisse gli indici dell’orologio che camminavano così lentamente; mandò un’esclamazione di gioja, quando vide alla fine una striscia bianca all’orizzonte annunziare la venuta del giorno. Scrisse sopra un foglio di carta una dichiarazione (e vedremo presto quale), poi il biglietto che mandò subito a Cesare, e stette aspettando impaziente.

La faccia di Emilio, di color verzigno, corsa dalle righe sanguigne delle graffiature, era così contratta, che a Cesare fece quasi ribrezzo e poco meno che paura.

— Che cosa avete da dirmi? domandò asciuttamente Emilio ritto presso la tavola su cui erano il foglio scritto poc’anzi e le armi.

— Che Alberto accetta qualunque condizione, rispose Cesare, per quanto grave essa sia, purchè non a svantaggio d’uno degli avversarî.

— Va bene. Ci batteremo subito.

— È appunto l’intenzione di mio cognato. E anzi questi è già andato ad aspettare presso il pilone di San Giacomo.