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LA TESTA DELLA VIPERA 161

— Ebbene? domandò Cesare, quando Alberto ebbe letto.

— Ebbene, rispose Alberto, vacci subito, e accetta tutte le condizioni che egli proporrà, quando, s’intende, non sieno più vantaggiose per lui. Io esco subito di casa, e t’aspetterò colla risposta presso al pilone di San Giacomo. Fa di stabilire là vicino, che è luogo isolato, dove a quest’ora non passa anima viva, il terreno dello scontro.

Cesare, di gran malavoglia e con molta agitazione nell’anima, si recò presso Emilio.

Alberto rientrò pian piano nella camera, andò a dare uno sguardo ancora ai figli addormentati, di cui lievemente, ma con crudele strazio del cuore, baciò la fronte, e diede poscia anche a Matilde un bacio leggiero leggiero, in cui però c’era tutta l’intensità del suo affetto; passò nel suo studiolo, dove s’armò d’una rivoltella a sei colpi, carica, e si avviò lentamente verso il pilone, dove aveva dato convegno a Cesare.

Emilio neppure non aveva passato sopra un letto di rose le ore che avevano tramezzato fra la sua uscita dalla villetta e l’invio del suo biglietto a Cesare. L’ira e la umiliazione della sua sconfitta, la vergogna delle ricevute percosse ne avevano ancora accresciuto l’odio e la smania della vendetta. Non aveva chiuso occhio, non aveva neppure provato a gettarsi sul letto, nemmeno seduto non aveva potuto stare; un’agitazione febbrile gli concitava muscoli e nervi, cuore e cervello. Aveva passeggiato su e giù,