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160 LA TESTA DELLA VIPERA

l’esistenza d’un’onesta famiglia, e che la vita d’un marito, d’un padre, la sorte e l’avvenire di innocenti creature abbiano ad essere in balìa d’un mascalzone qualunque? Dove sarebbe la giustizia di Dio?

L’occhio suo si posò più intensamente affettuoso sul dolce viso della moglie addormentata. Ogni traccia d’inquietudine era passata da quei leggiadri lineamenti, e un lieve sorriso aleggiava sulle labbra semiaperte.

— Sarà meglio, disse Alberto a sè stesso, che io m’allontani mentre essa dorme. Al suo risveglio nuove lagrime, nuove preghiere a trattenermi, commuovermi, indebolirmi. Andiamo.

In quella, Cesare cautamente mise il capo dentro dell’uscio. Alberto gli fe’ cenno di non inoltrarsi, e s’affrettò a raggiungere il cognato nell’altra stanza.

— Che cosa c’è? gli domandò.

E Cesare gli porse un bigliettino, che disse essergli stato rimesso allor allora dal servo del Lograve.

Alberto lo prese e lo lesse.

«A Cesare Danzàno,

«Le brighe, come quella che ora passa fra me e il signor Nori, mi piace finirle presto. Aspetto senza ritardo Cesare Danzàno colle istruzioni del signor Nori, così che tra un’ora tutto sia finito.»