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156 | LA TESTA DELLA VIPERA |
— Miserabile! gli disse. Dovrei schiacciarti come una vipera introdottasi nel seno della mia famiglia... Dovrei...
Levò la mano poderosa sul capo del tristo chinato innanzi a lui. Matilde venne a fermargli il braccio.
— No, Alberto! Non macchiarti al contatto di quel vigliacco.
— Vigliacco!... esclamò Emilio. Sia pure... Anche degli insulti di tua moglie, Alberto, hai da rendere ragione... E me la renderai... Non in questa ignobile gara facchinesca, in cui sei facilmente maestro: ma lealmente, in pieno giorno, faccia a faccia, colle armi alla mano...
— Oh, no! gridò Matilde, che ricordò tosto l’infallibile perizia di tiratore, che rendeva sicura la vittoria ad Emilio; no, egli è indegno.
Ma Alberto la interruppe:
— Di ciò non è questo il luogo, nè il momento di parlare... Per ora colui non ha che da levarsi dagli occhî nostri. Cesare, tu bada ch’egli esca, e chiudigli l’uscio alle spalle.
Emilio fece il suo ghigno, così perfido, così insultante, che in Alberto si riaccese il furore da quasi levargli la ragione.
— Oh, digli che parta! urlò terribilmente, o ch’io non mi trattengo più, e lo schiaccio come un verme.
Emilio s’avviò lentamente; quando fu sulla soglia si volse:
— A domani! disse, e partì.