Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
154 | LA TESTA DELLA VIPERA |
rideva, non sapeva esprimere i suoi sentimenti che ripetendo quel caro nome:
— Alberto! Alberto!
Emilio, sbalordito, stette un momento immobile per terra: poi cominciò a sollevarsi del tronco, puntando una mano sullo spazzo. Innanzi a lui i due sposi abbracciati teneramente si baciavano.
Una rabbia, un furore inesprimibile si dipinse sulla figura di quel tristo; la faccia lacerata dalle unghie della donna e gocciante sangue, le guancie d’un rosso cupo e gli occhî che mandavano lampi di malvagità feroce, la schiuma che gli imbiancava la bocca fremente, lo rendevano orribile a vedersi. Nè anco Cesare che s’avanzava in ajuto del cognato, lo riconobbe.
Emilio, sostenendosi sempre colla mano sinistra, colla destra levò di tasca la rivoltella, e la puntò verso il gruppo di Matilde e di Alberto; ma non ebbe tempo di far fuoco, chè Cesare, venutogli di dietro senza ch’egli se ne accorgesse, di colpo gli afferrò con tutte e due le mani il polso, e il projettile deviato dalla scossa andò a piantarsi nel soffitto. Stringendo forte il braccio del cugino, Cesare gli fece cader l’arma di mano, e ratto se ne impadronì. Allora Emilio si volse, invelenito, a quel nuovo avversario, e Cesare lo riconobbe.
— Emilio! esclamò. Tu!
Emilio s’alzò lentamente: sotto le righe di sangue che gli solcavano la faccia, sotto le